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Tano D'Amico / Crisi e resistenza
Forse la mia generazione doveva nascere solo per questo. Forse solo per questo verrà ricordata. Per avere accompagnato sulla soglia della storia quelli che nella storia non erano mai entrati. Quelli che la storia l'hanno sempre subita.Quelli che la storia non aveva mai degnato di uno sguardo. Quelli che anche i testi sacri della sinistra disprezzavano.
Ci tenemmo per mano con le donne e gli uomini comprati e venduti, i carcerati, i rinchiusi nei manicomi, i rinchiusi nelle caserme, i senza casa, i senza possibilità. Con loro formammo un ceto nuovo, che non c'era mai stato.
Ideali nuovi lacerarono quella che doveva essere la storia. Da quegli strappi comparve una immagine nuova, brillò la bellezza, la dignità, la consapevolezza dei senza potere. Con la nostra sconfitta è rimasto solo il modo di vedere del vincitore.
Ricordo la sentenza del processo 7 aprile. Una brutta storia di trenta anni fa. Diceva la sentenza della magistratura, che dalla soglia della storia dovevano essere ricacciati là da dove venivano, nell'immondezzaio della storia.
L'immagine nuova scomparve dalla stampa. Tornò piano piano sulle pagine dei libri di storia, tornò nelle mostre internazionali di inizio millennio.
In tutti questi anni nel presentare il mio lavoro mi sono sentito e mi sono descritto di volta in volta come un guitto, un saltimbanco, un cantastorie. Un cantastorie che si inchina e chiede attenzione per una storia che è stata anche la sua.
Stavolta, davanti a voi, mi sento solo il compagno di viaggio più anziano delle persone che vedete in queste mie ultime fotografie. Quello che bussa a nome di tutti per chiedere ospitalità. Permettetemi ancora una volta di bussare al vostro cuore e alla vostra coscienza.
Toc, Toc. Chi è ?
Mie signore e miei signori, siamo ancora gli insoddisfatti, quelli a cui va stretto il mondo. Quelli che si tengono per mano e riempiono le strade.

Tano D'Amico

 
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Tano D'Amico

Tano D’Amico non ama raccontarsi. E’ piuttosto ermetico sul suo privato e passato, anche perché pensa che non interessi a nessuno. Lascia che siano gli altri a dire di lui, magari attraverso la lettura delle sue immagini, prodotte in oltre quaranta anni di attività professionale, svolta coerentemente con i suoi principi etici e morali. Possiamo dire con certezza che è nato nel 1942 a Filicudi, perla selvaggia delle Eolie protetta dall’Unesco. E dalla “magica” Phoenicusa, all’età di sette anni si è trasferito a Milano e poi definitivamente a Roma, a venticinque anni. E’ stato da sempre affascinato dalle immagini, più che dalla fotografia, tanto che se gli chiedi il nome di un fotografo a cui si è ispirato ti risponde Giovanni Bellini. Il colore è un linguaggio che non gli appartiene, perché l’anima della “sua” realtà è solo in bianconero. Leggendo le sue fotografie lo potremmo definire il fotografo dell’identità collettiva, delle istanze di vita diversa, del disagio, dell’impegno civile, degli ideali e delle grandi aspettative, della voglia di cambiamento, dell’umanità, del volersi bene, della dignità restituita. Quando si allude alle sue istantanee precisa che si tratta di fotografie “regalate” e non “rubate”, nel senso che sono frutto della complicità, scene che volevano essere ritratte. Tano D’Amico non è dunque fotografo della casualità, come non può esserlo chi cerca di rappresentare solo ciò che ha radicato nella propria cultura. Le sue fotografie vanno lette nell’intera superficie, dove insistono altri elementi a completamento del significante, quali le crepe, le linee, i chiari e gli scuri, le mani e i piedi, per dare all’osservatore la possibilità di separare il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, il buono dal cattivo. Soggetti importanti sono spesso le donne, di tutte le età, di fronte a elmetti e manganelli, tra megafoni e striscioni: una scelta di puntamento che il fotografo ha riservato a colei che,più degli uomini, è stata innovatrice, battagliera e sovversiva. Ma anche tante facce di giovani, fieri e raramente intimoriti, collegialmente coinvolti nella speranza di poter cambiare il mondo, diversi per epoca ma sempre belli e gioiosi.
Tano D’Amico lavora con metodi tradizionali legati alla fotografia analogica e divide le immagini in brutte e belle, senza distinguere i generi. Belle sono le immagini che ti entrano dentro e ti fanno pensare, che ti aiutano a vivere. Con la mostra “Crisi e Resistenza” di FotoLeggendo torna ad esporre a Roma, dopo la mostra “E’ il 77" al Festival Internazionale della Fotografia del 2007, vista da ventimila visitatori.
Ha lavorato per Lotta Continua e Potere Operaio del lunedì; oggi è un fotoreporter indipendente. Ha pubblicato: “Se non ci conoscete” (1977); “Storia d’amore e d’avventura. Il tumulto dei medi a Roma” (inserto di Lotta Continua, 1978); “Con il cuore negli occhi” (1982); “Ricordi” (1992); “Gli anni ribelli (1968-1980)” (1998); “Una storia di donne. Il movimento al femminile dal '70 agli anni no global” (2003); “La dolce ala del dissenso. Figure e volti oltre i cliché della violenza” (2004); “E' il 77” (2007); “Volevamo solo cambiare il mondo” (2008).

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